L’uso delle immagini e della fotografia: 

un caso clinico

Autore: Dr.Cannavò Michiele
Data: 14 Novembre 2022
L’uso delle immagini e della fotografia: un caso clinico

M., 32 anni, figlio unico, disoccupato, giunge in terapia per un disturbo d’attacco di panico che aveva limitato la sua qualità di vita per più di un anno. Non riusciva più a uscire di casa, se non sostenuto dall’uso di ansiolitici. M. descriveva il suo corpo come “un robot pazzo” al momento della sua uscita dall’uscio protettivo di casa. Descriveva una percezione di completa desensibilizzazione mescolata simultaneamente a un senso di agitazione incontrollabile. Sono emersi, durante la terapia, diversi eventi traumatici legati alla storia della sua famiglia che hanno minato fortemente il suo ground. M. era rimasto senza lavoro per circa un anno e mezzo e circa sei mesi prima aveva ricevuto una diagnosi di cancro. Riferiva frequente insonnia e alterazione dell’umore. Numerosi erano stati gli episodi di attacco di panico, connessi a ogni uscita da casa. Prima di essere preso in carico, M. aveva parlato dei suoi sintomi solo al suo medico di base.

Nel corso del tempo si era aggiunta al quadro psicopatologico anche l’ansia anticipatoria. Durante il percorso terapeutico, M. ha permesso al terapeuta di sentire spesso la sua ansia e sperimentare il suo corpo insensibile ai tentativi di riportarlo nel qui e ora, con una discreta consapevolezza che gli ansiolitici utilizzati avessero un ruolo nella mancata attivazione. Sebbene non esistano evidenze scientifiche su effetti collaterali rispetto all’utilizzo del suddetto principio, la sensazione forte era che a M. servisse credere fortemente che fosse così. Il terapeuta, al confine di contatto con M., percepiva la presenza di un terzo ingombrante nelle benzodiazepine come se venissero assunte nel qui e ora di ogni incontro. Sebbene i numerosi tentativi del terapeuta di lavorare sullo sfondo e sulla funzione Es di M., nei momenti in cui se ne percepiva un tempo relazionale giusto e utile, tutto rimaneva sempre immobile, senza energia, senza curiosità e senza vitalità. La danza relazionale terapeutica subiva una brusca interruzione sempre allo stesso punto. Non vi era stato alcun salto nel vuoto, M. e il suo terapeuta a un certo punto del loro processo relazionale non scorrevano più fluidi e non riuscivano ad andare oltre, percependosi poco intimi e per niente coraggiosi.

Dopo diverse sedute che avevano rinsaldato la fiducia e l’alleanza terapeutica e quando il terapeuta percepì la necessità di utilizzare un agitatore di sfondo che creasse un vero e proprio shock a uno schema relazionale ormai rigido, emerse spontaneamente la proposta a M. di introdurre le immagini come mezzo per attivare lo sfondo e darsi il permesso di creare un modo nuovo di stare al confine di contatto, puntando sul potere di creare risonanze corporee anche in un corpo spento da troppo tempo.

L uso delle immagini e della fotografia un caso clinico di Michele Cannavo 550

T: Oggi ho portato alcune foto di persone, movimenti e gesti come ti avevo promesso. Tu hai fatto lo stesso?

P: Sì! Questa cosa mi ha intrigato molto. Non è stato certo facile scegliere tra tutti quelli che c’erano su Internet.
Per fortuna mi hai detto di prenderne solo dieci.

T: Bene, ora ti chiedo di mischiarle con le mie e prenditi un po’ di tempo per sceglierne una che ti colpisce adesso. Prova a scegliere la foto sentendo anche l’effetto che ha sul tuo corpo e sul tuo respiro. Scegli la foto che ti fa vibrare, che ha una risonanza con il tuo corpo e con il tuo essere qui con me.

Nel corso del processo terapeutico M. insieme al suo terapeuta aveva lavorato molto sulla fisiologia del corpo e sul loro essere-con all’interno del campo terapeutico. Sebbene sapesse di stare correndo un rischio importante, forse osando troppo utilizzando foto proprie e di M. per via dei tanti campi di intimità che si potevano esplorare e delle tante figure che avrebbero potuto emergere, il terapeuta aveva deciso di fidarsi del suo sentire che gli aveva suggerito di essere approdati in un momento di svolta relazionale. Sentiva che erano giunti in un tempo della terapia dove la noia si mischiava alla piena fiducia, configurando una stagnazione relazionale improduttiva alla percezione di entrambi.
M. aveva scelto a un certo punto la foto di una mano che incontrava un’altra mano e, focalizzando su di essa la sua piena esperienza percettiva e corporea, condivise con il suo terapeuta che aveva sentito emergere una forte emozione, mista a un calore e un tremore in tutto il corpo, sensazioni sciolte nelle parole che seguirono.

P: Vorrei essere la mano. Vorrei poter sentire la presa che lei sente.

Solo la risonanza con una di quelle immagini aveva attivato in M. il suo background fisiologico, oltre a stimolare nuovi elementi percettivi associati al campo condiviso con il terapeuta.
Era la prima volta che M. si permetteva di chiedere qualcosa all’altro da sé, il terapeuta. Le funzioni Personalità ed Es si erano integrate grazie alla figura delle due mani con cui aveva risuonato. La sua richiesta arrivava come appropriata e non seduttiva. Il terapeuta adesso sentiva di poterlo accogliere, aprendo alla possibilità che una delle due mani dell’immagine diventasse la sua, in un misto di eccitazione e curiosità inedite dopo che nelle precedenti sessioni non aveva mai osato fare alcun movimento verso di lui sentendolo sempre troppo delicato e inaccessibile per via della sua desensibilizzazione corporea.

T: Vuoi ricreare la foto?

Il viso di M. brillò di una luce improvvisa, mentre il campo relazionale si estendeva grazie alla foto, così come il respiro del terapeuta. Qualcosa stava cambiando di nuovo. Attivando il corpo, M. aveva attivato anche il confine di contatto, sentendo l’energia che stava investendo nel processo di attivazione del suo braccio e del suo avambraccio destro che avevano trovato il coraggio di allungarsi verso il corpo del terapeuta, pronto a coordinarsi con il suo movimento e danzare insieme un modo nuovo di essere-con. Entrambi i corpi con le loro posture e tutti i sensi aperti al confine di contatto suggerivano una intenzionalità condivisa.

P: Sì, mi va!

Le braccia avevano creato quel confine di contatto, dove paziente e terapeuta finalmente potevano raggiungersi in un modo nuovo. Il concedere quell’atto spontaneo e liberatorio aveva aperto anche alla possibilità di spingersi oltre, sentendo la fiducia nel terapeuta a indagare le percezioni corporee di M.

T: Prova a descrivere cosa ti sta succedendo.
P: Caro dottore, improvvisamente sento caldo, ed è un caldo che non mi spaventa. Sento il mio battito cardiaco più veloce, e non mi dispiace non controllarlo. Sento di potermi fidare di me stesso.

Da lì a breve M. scoppiò in pianto sciogliendo movimenti bloccati per troppo tempo, e trasformando addirittura la stretta di mano in un abbraccio. Ciò ha permesso al suo terapeuta di sentirsi un battito del movimento (finalmente) vitale di M., parte di un cuore che aveva cominciato a occupare una parte del mondo, facendo emergere sentimenti di profonda commozione. Per la prima volta M. aveva permesso al suo terapeuta di incontrare la sua fragilità e la sua paura attraverso un linguaggio che andava oltre le parole. Il suo palpito era diventare un pulsare con l’altro in modo sincrono. Il respiro tachipnoico divenne lentamente regolare, dando segnale che era giunto il momento di separarsi da quel contatto pieno ma senza perdere il “tatto visivo”.

La foto, grazie alla quale tutto era iniziato, era praticamente scomparsa. Tutto era stato riassorbito dallo sfondo co-creato ed erano emerse nuove figure. L’incontro avvenne con estrema lentezza ma con una forza progressiva. Il terapeuta aveva sentito di aver stabilito una nuova alleanza tra il suo corpo e quello del paziente. Percezione, azione ed emozioni durante questo lavoro con le immagini, sono stati integrati e arricchiti implementando la consapevolezza di entrambi, paziente e terapeuta.

Da questo esempio clinico, emerge come, in ottica fenomenologica e relazionale gestaltica, le immagini possono essere un supporto specifico per favorire l’incontro, la condivisione, la cocreazione e liberazione attraverso il movimento. Movimento, corporeità e risonanza del corpo sono elementi che hanno acquisito sempre più importanza, forma e valore all’interno del nostro modo di lavorare con le immagini al confine di contatto.

 

Utilizzare le immagini, sceglierle e renderle sia agitatori di sfondo che stimoli percettivi all’azione e al sentire, rappresentano elementi fondamentali della nostra proposta. Riteniamo che il terapeuta possa sentirsi comodo nel muoversi tra le immagini poiché il loro utilizzo nella pratica clinica è strettamente connesso alla creatività, all’esperienza e all’estetica fenomenologica. L’uso delle immagini e della fotografia nella psicoterapia della Gestalt permette, dunque, l’intreccio saldo e convincente di tre dimensioni dell’epistemologia gestaltica: fenomenologia, estetica e relazionalità che, combinate con le più recenti ricerche delle neuroscienze, della neuroestetica e della psicoterapia della Gestalt, supportano e sedimentano il background teorico di partenza di questo articolo.

La fotografia è un’espressione artistica che esalta la nostra visione dell’estetica e permette di immaginare il setting psicoterapeutico in un modo creativo e originale. Lanciarsi in un passo coraggioso, la stretta di mano, ha permesso al paziente di raggiungere il terapeuta, divertirsi con lui, contare su di lui , spesso vissuto come inaccessibile (Spagnuolo Lobb, 2016b). Sebbene in un primo momento le immagini possano appartenere al paziente o al terapeuta o ad altri, con il loro utilizzo attraverso la pratica descritta esse si vestono di un valore nuovo, relazionale che sconvolge e amplifica il campo percettivo e terapeutico.
Le immagini diventano il luogo dove le tre funzioni del sé gestaltico, dove la mente e il corpo si rivitalizzano e si incontrano, implementando il repertorio di memorie autobiografiche che sono implicite nelle relazioni e nei processi riparativi. Si crea un movimento dialogico delle immagini dove danzare per esplorare le esperienze del paziente, il dolore o i blocchi della spontaneità. Un movimento che include lo sfondo e le figure del paziente e traduce l’empatia incarnata del terapeuta in immagini.

La terapia della Gestalt, più degli altri orientamenti, supporta la capacità degli esseri umani a contattarsi l’un l’altro attraverso il gioco e la creatività: essere creativi fa parte della natura sana dell’uomo. Foto, musica, pittura e altri mezzi e luoghi creativi facilitano così il contatto.
Noi abbiamo scelto le foto e le immagini che, con il loro potere evocativo, possono divenire mezzo artistico a servizio della cura e dell’espressione di sé. Uno strumento stra-ordinario, un lavoro relazionale incentrato sul senso e sui significati, sul qui e ora, sulla co-creazione, sulla spontaneità, sul processo di empatia incarnata e di consapevolezza del corpo sperimentati negli spazi di relazionalità unici, originali, terapeutici.

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