La depressione e il senso del vuoto esistenziale
Autore: Dr.Cannavò Michele
Data: 22 Febbraio 2021
Parlare di depressione senza spaventare e confondere non è compito semplice per un clinico. Nella mia esperienza ho incontrato questo stato diverse volte e credo che ogni volta ne sono uscito diverso e cambiato. L’esperienza depressiva è una sindrome difficilmente confondibile con altro, seppur spesso molti di noi possono dire di essere depressi o sentirsi depressi. La depressione è uno stato che può colpire chiunque, spesso reattiva ad un evento (lutto, separazione, trauma) altre volte può far parte di una fase esistenziale. Sono diversi i momenti di passaggi di vita che interessano la nostra esistenza e non sempre troviamo il giusto supporto o i giusti ganci relazionali per affrontarli.
Nei casi che ho incontrato, ciò che mi ha sempre colpito, è stata la capacità quasi involontaria di condividerla. É un coinvolgimento emotivo/corporeo che non può lasciare indifferenti. La depressione è mimica, è tono della voce, è aria pesante, è corpo, è immobilità. La depressione è uno stato che non passa con i giorni, ma tende a complicarsi per la chiusura che comporta. Si entra in uno stato di isolamento, astenia, apatia e abulia senza più avere luoghi di pace e respiro. Spesso ha delle varianti dove predominano l’ansia, il disturbo del sonno o sintomi sfumati che nel tempo caratterizzeranno un quadro clinico più evidente. La depressione colpisce il nostro essere relazionali con un oscurimento delle emozioni e del sentire corporeo. Tempo e spazio cambiano di qualità, non è facile raggiungersi, ed è questa consapevolezza spesso a orientare noi clinici. Tutto diviene pesante, irraggiungibile e spesso ogni movimento o azione viene vissuto come sbagliato creando nella persona sensi di colpa smisurati. Negli stati più gravi si può arrivare a perdere fiducia totale nell’altro e nel mondo, arrivando ad avere un pensiero delirante di colpa o di rovina.
Genetica, ambiente, stressors si combinano senza un ordine dando origine a forme depressive diverse che possono disorientare il clinico. Consiglio sempre ai pazienti di darsi il tempo per raccontarsi, il tempo per affidarsi, creando/cercando un luogo sicuro dove poter svelare e condividere la tristezza sentita. Non sempre è facile avere fiducia che l’altro possa capire e sentire il peso che abbiamo dentro, quasi come se la parte che emerge è nulla rispetto all’intreccio interno vissuto. Iniziare è di certo una possibilità. Credo che se la condivisione è avvenuta in modo sano ed efficace, lo stesso clinico che vi ascolta, vi darà la sensazione di essersi un po’ depresso con voi, come se pian piano ha abitato (rispettandolo) il vostro spazio per quel tempo del colloquio. Non preoccupatevi se in ogni seduta non riuscite a dire tutto o se la vergogna prende il sopravvento, perché condividere la fragilità e la debolezza non è da tutti. Diventa importante avere consapevolezza, che chi è di fronte a voi, non si lancerà in giudizi o consigli ma in modo etico, estetico e empatico si prenderà cura di voi.
Il vuoto sentito e sperimentato necessità di luci e funi, dove il clinico pian piano con il vostro permesso prova a entrare, per poi creare lentamente un supporto adatto a voi per farvi risalire. Un’opera artigianale che valuta le qualità del vostro male e sta attento a non fare passi o movimenti troppo audaci. La cura farmacologica ritengo essere necessaria, poiché permette di ristabilire un equilibrio e un supporto soprattutto quando tutto sembra frantumarsi e senza orientamento. Oggi le terapie, se ben dosate e scelte ad hoc per la persona che abbiamo di fronte, permettono una buona risoluzione di molti segni e sintomi della depressione permettendo al clinico e allo psicoterapeuta di lavorare con maggiore efficacia.
Chiudo il mio racconto con un quadro di Munch dal titolo Malinconia

(1891-1896) Il motivo ritrae, in primissimo piano, un uomo seduto su una spiaggia, il capo sorretto dalla mano. Nella cala sullo sfondo una coppia è in procinto di imbarcarsi. I colori accentuano l’atmosfera malinconica della scena. La serie fa riferimento alla sfortunata relazione tra l’amico giornalista di Munch Jappe Nilssen e Oda Krohg, moglie del pittore Christian Krohg. Munch si rispecchia nella vicenda amorosa, in quanto in passato aveva avuto lui stesso una relazione con una donna sposata. La figura malinconica in primo piano può dunque essere associata sia a Nilssen che al pittore. Malinconia è una delle prime opere simboliste dell’artista norvegese e fa parte del suo Fregio della vita. (Wikipedia)
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